Un caso editoriale mondiale, un testo tradotto in 27 paesi. Un libro il cui titolo originale ci fa sobbalzare: le pulizie della morte.
“L’arte svedese di mettere in ordine” è un libro scorrevole, a tratti divertente, nel quale Margareta Magnusson, arzilla designer di Göteborg “fra gli ottanta e i cento anni”, rompe un tabù e ci dice senza mezze misure che organizzare le nostre cose prima del fatidico evento sarà un sollievo enorme per chi dovrà occuparsene quando noi non ci saremo più.
Ho voluto confrontare il titolo originale con le relative traduzioni in inglese e in italiano:
Hai notato che nella traduzione italiana la parola “morte” non è menzionata? Non mi stupisce: la nostra cultura non ci prepara ad affrontare il lutto; la morte è una questione di cui nessuno vuole parlare e alla quale nessuno vuole pensare. Immagino quindi che la scelta editoriale della traduzione, a livello di strategia di marketing, abbia senso.
Ma l’autrice ci fa capire due cose: uno, che alleggerire la propria casa, conservando solo ciò che è utile e ciò che piace davvero è un atto d’amore verso sé stessi e verso gli altri (“lasciate che vi aiuti a far sì che i vostri cari serbino di voi un ricordo affettuoso, e non angosciante”); due, che possiamo sistemare le nostre cose in qualsiasi momento e proseguire la nostra vita con più leggerezza.
Mettere in ordine la tua casa, se puoi farlo, è una delle attività più confortanti che ci siano, e ha benefici incalcolabili – Leonard Cohen
La Magnusson racconta al lettore le sue esperienze personali. Alla morte della madre aveva dovuto sgombrare la grande casa dei genitori e aiutare il padre a trasferirsi altrove; successivamente si era occupata di quella della suocera; infine, la prova più difficile di tutte quando rimase vedova dell’amatissimo marito.
Oltre al dolore della perdita, ha dovuto affrontare la fatica di sistemare tutta la loro roba e traslocare in una casa più piccola. Si rendeva conto che, ora che il marito non c’era più e i figli abitavano altrove, restare da sola in una casa grande, con un giardino da curare e enormi spazi da pulire non aveva senso. Stava iniziando una nuova vita e per questo le serviva un posto più intimo, con meno ricordi e più facile da gestire.
Un po’ per volta aveva fatto un inventario, prendendo nota di cosa fare di ogni oggetto. Se decideva di non portarlo con sé nella nuova casa, scriveva delle istruzioni tipo “vendere”, “per la zia Ellen” o “dare in beneficienza”. Ricordando i commenti dei figli a proposito di oggetti che amavano particolarmente, li conservò per loro.
Riflettendo su ciò che aveva dovuto passare in quei momenti, decise di sistemare anche le sue cose, semplificando così la vita ai suoi cinque figli (“non importa quanto vi amino, non lasciate loro questo fardello”). Conservò solo ciò a cui dava valore, vendendo o donando il resto.
Il libro dà delle preziose indicazioni su come procedere, suggerendo di iniziare dalle categorie più semplici, di solito i vestiti e i libri (“una categoria è facile quando è ampia e non ha troppe associazioni affettive. È molto importante iniziare da qualcosa di facile, non voglio che vi arrendiate subito”). Consiglia anche di raccontare agli altri ciò che si sta facendo: forse gli amici si offriranno di aiutarci e prenderanno qualcosa che noi stiamo scartando.
L’autrice raccomanda di preparare delle istruzioni scritte che indichino cosa fare in futuro di ciò che si è scelto di tenere; possiamo anche inserire una nota dentro una scatola per spiegare cosa vorremmo fosse fatto del suo contenuto.
Fotografie, lettere e ricordi sono categorie da affrontare per ultime, visto che si tratta di oggetti ad alto carico emotivo. Mentre si sistema, si rievocano storie e ricordi. È sempre una fase delicata che come professional organizer conosco bene. Spesso i clienti si lasciano andare a piccole confidenze, si crea una connessione che non riesco a spiegare, a parole. È un momento magico, ma impegnativo. Affrontare queste categorie quando le altre sono già state sistemate sarà più facile.
Quando un nostro caro muore, è difficile mettere mano alle sue cose. Soffriamo per la perdita e ci sentiamo sopraffatti dalle decisioni da prendere: cosa fare degli oggetti che gli appartenevano? E dei documenti? Ci sono scadenze per pagamenti, volture o altre questioni burocratiche? In mancanza di un testamento, come capire quali erano le sue volontà? Come evitare le liti fra gli eredi?
Quando ho parlato nelle stories sui miei profili Instagram e Facebook dell’intenzione di scrivere questo articolo, chiedendo se il tema fosse di interesse, mi sono arrivati molti messaggi: “ricordo la fatica che hanno fatto mia mamma e mia zia a liberare la casa di nonna”, “mia mamma aveva conservato di tutto, ci abbiamo messo anni, a nessuno di noi andava di affrontare la cosa e continuavamo a rimandare”, “se solo ci avessimo pensato prima”.
Si può prevenire tutto questo?
Nel caso in cui sia l’erede a voler affrontare l’argomento, per esempio con i propri genitori, la Magnusson suggerisce di porre loro qualche domanda in modo delicato: “la vita per voi non sarebbe meno stancante se ci liberassimo di un po’ delle cose che avete raccolto negli anni?” o “c’è qualcosa che possiamo fare insieme, poco per volta, di modo che in seguito non ci saranno troppe cose di cui occuparsi?” Si potrebbe anche accennare che loro hanno oggetti che vi piacerebbe avere, forse è possibile averli adesso.
Alleggerire la nostra vita e quella degli altri è possibile. “Nessuna storia triste”.